Nella maggior parte dei paesi europei e dell’occidente l’interruzione volontaria della gravidanza è legale e regolamentata dalla legge. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda tutti i paesi del mondo a dotarsi di leggi che legalizzino e regolamentino l’IVG al fine di garantire la libera scelta delle donne e per scongiurare le morti o le gravi complicazioni causate da pratiche abortive o interventi chirurgici insicuri.
La legge 194, quella che dal ’78 ha reso legale l’interruzione volontaria della gravidanza, ha garantito alle donne la possibilità di effettuare l’aborto in condizioni sicure dal punto di vista sanitario, abbattendo in maniera quasi assoluta l’incidenza della mortalità legata alle complicanze dell’intervento, le infertilità secondarie e le altre penose conseguenze fisiche derivanti dalle condizioni spesso spaventose in cui venivano praticati gli aborti clandestini.
Oggi l’IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) è un intervento del tutto sicuro dal punto di vista medico, gravato da una percentuale di complicazioni, sia immediate che a distanza, davvero minima.
Entro i primi novanta giorni (12 settimane) di gestazione, può interrompere la gravidanza la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito.
L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata:
- quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
- quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
I processi patologici che configurino i casi terapeutici qui sopra previsti, vengono accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente ospedaliero in cui deve praticarsi l’intervento, che ne certifica l’esistenza.
Come purtroppo spesso accade l’ applicazione della legge deve fare i conti con le singole realtà territoriali.
Quello delle lunghe attese per sottoporsi ad una IVG è un problema comune quasi all’intero territorio nazionale, con ovviamente alcune aree nelle quali il problema diventa davvero serio.
La legge stabilisce infatti che si possa effettuare l’intervento a distanza di una settimana dalla certificazione medica che attesta lo stato di gravidanza e conferma la volontà della donna di interromperla.
Questo deve avvenire entro la 12° settimana di gestazione. Spesso però i tempi di attesa sono assai più lunghi della settimana prevista (che, nello spirito dei legislatori, doveva fornire una pausa di riflessione), aggirandosi in media sulle 2-3 settimane.
É evidente come questa latenza costituisca un disagio in genere, perché, una volta maturata la decisione di interrompere la gravidanza, decisione mai facile, ma anzi spesso sofferta e fonte di sofferenza, doverne procrastinare la realizzazione, “vivendo” una gravidanza che si è deciso di non portare avanti, costituisce un peso psicologico tutt’altro che indifferente per qualunque donna.
In più, è vero che l’intervento è meno impegnativo nelle fasi precoci della gravidanza, anche se le maggiori percentuali di buon esito sono per le IVG effettuate tra la 6° e la 9° settimana.
Ma davvero drammatica diventa la prospettiva delle lunghe attese nei casi in cui la gravidanza viene diagnosticata più tardi, con il rischio di andare oltre il termine previsto dalla legge.
Le cause di queste incresciose situazioni sono da ascrivere a fattori molteplici e diversi per ogni singola realtà, ma di certo comune alla maggior parte è la scarsità di personale destinato ai servizi di interruzione di gravidanza. La legge prevede infatti per il personale sanitario (medico e paramedico) la possibilità dell’obiezione di coscienza, il che nei fatti si traduce in una ridotta disponibilità di personale da adibire a questi servizi e ad un sovraccarico importante per i sanitari che si rendono disponibili.
Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni
Se la donna è minorenne, per l’interruzione della gravidanza è richiesto l’assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di legge e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera.
Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna a decidere l’interruzione della gravidanza.
Qualora il medico accerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute della minore, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà e senza adire il giudice tutelare, certifica l’esistenza delle condizioni che giustificano l’interruzione della gravidanza. Tale certificazione costituisce titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento.
Affrontare la scelta di interrompere una gravidanza quando si è molto giovani può essere particolarmente difficile e doloroso dal punto di vista psicologico. L’adolescenza è una delle fasi più complesse della vita, una fase di passaggio che spesso ci rende insicuri e ci fa sentire indifesi. Nei consultori AIED da sempre viene riservata una attenzione particolare agli adolescenti, attraverso consulenze sulla sessualità e la contraccezione pensate per i più giovani e avendo cura di stabilire fin da subito un clima di accettazione, ascolto e fiducia, nel pieno rispetto delle libertà e dei diritti delle ragazze e dei ragazzi.
L’AIED garantisce piena assistenza alle minorenni che scelgono di interrompere la gravidanza, nel rispetto di quanto previsto dalla legge e con la necessaria attenzione alla tutela dei loro diritti.
Se la donna è una cittadina non italiana
Per le cittadine straniere, comunitarie e non, l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) garantisce l’assistenza sanitaria prevista per l’IVG e comporta parità di trattamento rispetto alle cittadine italiane.
Alle cittadine straniere non iscritte al servizio sanitario nazionale, siano esse regolari o irregolari, la prestazione sanitaria dell’IVG sarà garantita dietro pagamento alla ASL delle tariffe previste per legge, che possono cambiare a seconda della regione. Per le cittadine straniere sia comunitarie che extracomunitarie, anche irregolari, l’interruzione volontaria di gravidanza rientra fra le prestazioni mediche essenziali e urgenti che deve essere garantita anche a chi non possa permettersi di pagare la prestazione.
Dopo l’intervento
L’AIED consiglia, dopo un’interruzione di gravidanza, un controllo ginecologico per verificare il buon esito dell’intervento e il buon andamento del decorso postoperatorio.
Oggi l’interruzione di gravidanza è un intervento sicuro in tutte le realtà ospedaliere: la legge, oltre a ridurre in maniera drastica la quota di aborti clandestini, ha finalmente regolamentato le norme di sicurezza entro le quali deve essere praticato l’intervento, in modo da tutelare la salute e la futura fertilità delle donne che vi si sottopongono.
La visita di controllo costituisce l’occasione per affrontare con più serenità e consapevolezza la necessità di proteggersi dal rischio di una nuova gravidanza indesiderata e quindi di un altro aborto. Nonostante l’intervento sia sicuro, resta pur sempre una pratica chirurgica invasiva alla quale si deve ricorrere solo in caso di necessità.
Nei consultori AIED la visita di controllo postoperatoria prevede, oltre all’indagine ginecologica, una consulenza specifica di informazione sui metodi contraccettivi. Durante la consulenza gli operatori dell’AIED potranno illustrare i più moderni sistemi contraccettivi tra i quali la donna potrà scegliere quello che ritiene più adatto a sé. Esiste ancora una certa disinformazione riguardo la contraccezione, causata spesso dalla fretta con cui si cerca di raccogliere informazioni in modo autonomo ma anche dalla difficoltà nell’individuare una fonte di informazione competente e affidabile.
Affidarsi ad una contraccezione sicura, oltre a mettere al riparo la donna dal rischio di gravidanze indesiderate, può aiutare ad avere una maggiore tranquillità e confidenza durante il rapporto sessuale. In particolare è importante per gli adolescenti, che in questa fase della vita esplorano la sessualità spesso senza preoccuparsi di proteggersi.
Vi sono altri aspetti da considerare e che incidono sul vissuto della donna dopo l’esperienza di un aborto. Se dal punto di vista medico-chirurgico non resteranno conseguenze, altrettanto non si può dire per quanto riguarda le “cicatrici” che possono restare a livello psicologico.
La decisione di ricorrere all’aborto, checché ne dicano coloro che da diverse posizioni (politiche, religiose, ecc.) da anni combattono contro la libera scelta delle donne su questo argomento, non è mai facile, per quanto valide e ragionate siano le motivazioni che hanno indotto a prenderla.
I tempi e le modalità per elaborare questa esperienza sono diversi per quanto diverse sono le donne che la vivono, ma è certo che occorre tempo e lavoro su sé stessi per farlo in maniera efficace.
Perché il rischio – quando si “archivia” apparentemente in fretta e con facilità la ferita alla propria identità femminile che l’aborto volontario inevitabilmente comporta – è quello di veder tornare fuori quanto non elaborato sotto forma di disturbi diversi e indecifrabili, ma che hanno in comune il “compito” di rimettere in luce proprio il segno di quella ferita.
E non serve a curare questa ferita il modificare le condizioni esterne a sé (il cambiare partner ad esempio): la sola operazione che può risultare efficace è quella di riportare alla superficie cosciente quanto l’esperienza ha significato.
Le strade possibili per farlo sono diverse, si può completare questo lavoro anche in maniera autonoma, ma certo quello di una psicoterapia può essere in questo caso un valido aiuto per venire a patti con la scelta fatta, non per cancellarla, ma per riuscire a “sistemarla” nel complesso bagaglio di esperienze che ci portiamo dietro.