Il caso di Jesi non è l’unico in Italia e rende evidente come in alcune regioni il servizio dell’interruzione di gravidanza è nella pratica inesistente, come da tempo ormai denunciato da molte organizzazioni e operatori del settore.
In particolare le Marche, piccola regione con un tasso di abortività (numero di aborti per mille donne in età fertile) tra i più bassi in Italia e in Europa, si distingue per problematicità.
Il numero totale di interventi è relativamente basso, meno di 2500 l’anno e costantemente in calo, eppure un servizio essenziale viene spesso disatteso o reso difficile e penoso.
“Negli anni in cui l’aborto farmacologico era sperimentale – dichiara Laura Olimpi, Presidente della sezione AIED di Ascoli Piceno – la regione era una delle poche ad aver avviato la sperimentazione ed a consentire quindi alle donne che lo volevano di evitare l’aborto chirurgico, quando possibile; ora che la RU486 è stata finalmente autorizzata al commercio anche in Italia, la Regione si è guardata bene dal redigere le linee guida e quindi nessun ospedale ha ancora iniziato ad usarla.
In un’intera provincia, quella di Fermo, la legge 194 è totalmente disattesa e praticamente da sempre non si effettuano interventi nel locale ospedale.
Dove qualche ginecologo non obiettore si trova viene praticato una specie di numero chiuso, con un tetto massimo di interventi a settimana sempre più piccolo di quello che serve, costringendo chi resta fuori ad affannosi giri per la regione alla ricerca di chi ti accoglie, e sono quasi sempre le extracomunitarie a dover girare perché sembra esserci una preferenza per le residenti nel creare le liste. E le donne, spesso con difficoltà economiche o senza mezzo di trasporto, arrivano in molti casi all’ospedale di Ascoli, dove del servizio IVG si occupa la sezione AIED locale. Anche ad Ascoli, infatti, tutti i medici sono obiettori. In questo ospedale lo scorso anno solo una donna su tre era del territorio, le altre provenivano dalla costa o dal vicino Abruzzo, ma soprattutto da Ancona o dal resto della Regione.”
A maggio scorso l’AIED e l’Associazione Coscioni in occasione di un convegno, hanno avanzato delle proposte concrete e semplici per porre rimedio a questo disservizio, interpellando direttamente il Ministro Balduzzi e tutti i presidenti delle regioni italiane, per esempio prevedendo concorsi pubblici specifici per medici non obiettori che possano controbilanciare gli obiettori. Ma Ministro non ha dato segni di interesse verso queste proposte.
Il problema è tecnico perché gli aspetti morali e politici dell’aborto sono stati superati da tempo, come da ultimo ha dimostrato la sentenza di giugno della corte costituzionale nei confronti del tentativo del giudice tutelare di Spoleto di invalidare la legge.
Un governo tecnico non dovrebbe quindi avere difficoltà nel risolvere “tecnicamente” il fenomeno dell’obiezione di coscienza diffusa, se inquadrato come deve essere nell’ambito della violazione di un diritto sancito dalla legge. Occuparsi di questo problema è di certo più urgente che mettere al lavoro decine di esperti per presentare un ricorso inutile (e per molti versi crudele) sulla sentenza di Strasburgo sulla legge 40 sulla procreazione assistita.
Ascoli Piceno, 8 settembre 2012